Letture e riletture


6.4.07
Recensione inviata da Bhuidhe
Luigi Bolognini, La Squadra Spezzata
...l'Ungheria stava lottando contro l'unico avversario in grado di batterla: l'Ungheria...
Gabor, bambino ingenuo, dalle passioni forti, bambino che nonostante la fame cronica è una scintilla di vita, bambino innamorato della squadra di calcio del cuore, dello stadio nazionale, del Partito (o forse no? Forse non è poi così ingenuo?), dell'amico Sandor, della mamma tenera che gli regala la maglia del suo idolo. Bambino che cresce, anche troppo in fretta, e dal calciare un pallone per le strade di Budapest si trova a percorrerle con un fucile in mano...
L'Aranycsapat, la squadra d'oro dell'Ungheria che dal '50 al '55 perde una sola partita, la squadra che unisce e fa una cosa sola di giocatori brillanti in modi poi diversissimi, ognuno che fa il suo assolo unico al servizio del gruppo e del socialismo, la squadra delle coreografie, ora di grazia sublime ora di scatto animalesco, la squadra che fa sognare, la squadra dei sogni.
L'Ungheria, nazione dalla storia nobile, imperiale, nazione dove ormai si sogna tanto e si mangia poco, nazione che ha una gloria calcistica che è l'invidia del mondo, nazione che presto balzerà all'attenzione del mondo non per il forcing di centravanti e ali, ma per i carri T55 sovietici, nazione che trova i suoi sogni frantumati per le strade di Budapest.
Eppure se lui era diventato così era grazie anche a Puskás, alle sue carezze al pallone e ai suoi tiri secchi, potenti, schioccanti col sinistro. E anzi, in fondo sentiva che c'erano di mezzo anche quelle carezze, e quelle botte nella sua ribellione di oggi, nella sua sete di libertà, nella sua voglia di dolcezza, nella sua lotta con fucili e molotov.
Bhuidhe (granepadane)



5.4.07
Recensione inviata da Matteo Ferrario
Joseph Sheridan Le Fanu, Carmilla, Fanucci 2004 (traduzione dall'inglese di Annalisa Di Liddo)
A dare il titolo a questo racconto lungo è uno dei vampiri più originali che si siano mai visti. Non solo non fa gran parte delle cose che ci si aspetterebbero - non dorme in una cassa di pino, non fugge la luce del giorno, non calma l'appetito col primo topo a tiro, non porta camicie orrende, non frequenta goth club - ma, fatto ben più rilevante in un testo scritto nella seconda metà dell'Ottocento, è una vampira. Altro aspetto degno di nota è quello della scelta della preda, cui l'ormai vasto repertorio di libri e film sui vampiri ci ha abituati ad attribuire una forte connotazione sessuale. Se di amore si tratta, e piace pensare che sia così, quello di Carmilla per le sue vittime predilette - giovani aristocratiche, bellissime e innocenti - ha tutta l'aria d'essere un amore lesbico.
Come nel Nosferatu di Werner Herzog, l'elemento irrazionale irrompe fascinoso e prepotente nella normalità quotidiana.
Più ancora dell'innocenza, della bellezza e della giovane età, ad attrarre il vampiro è la solitudine. Laura, la vittima mancata che racconta la vicenda in una sorta di memoriale, vive col padre in un castello in Stiria, circondata dall'incanto desolato della foresta e con la sola compagnia delle governanti. Nella parte conclusiva, quando si tratterà di proteggerla dall'estremo assalto, la stanza di Laura verrà sorvegliata da più persone per intere notti. Come se i pericoli più terribili minacciassero l'animo umano quando si trova solo con se stesso. Naturalmente, visto che siamo pur sempre nel 1871, lo spettro da cui si vuole proteggere la giovane donna è anche quello del piacere carnale, specie se di natura "perversa". Questo non fa di Carmilla un racconto meno attuale e interessante. Semmai ci svela qualche prurito di una società che ha il terrore di trasgredire ma al tempo stesso sembra averne una voglia matta.
Carmilla, come Laura una ragazza bellissima e meno che ventenne, irrompe nella sua vita a seguito di un misterioso incidente in carrozza nei pressi del castello, a causa del quale la madre, che deve a tutti i costi proseguire il viaggio, chiede per lei la temporanea ospitalità nel maniero. Laura, che non vedeva l'ora di poter uscire dal suo isolamento e avere un'amica con cui dividere le sue giornate, accoglie Carmilla con entusiasmo adorante. Quest'ultima la ricambia con altrettanto affetto, ma anche con saltuari e improvvisi deliri, al limite dell'ossessione erotica.
Non ci si deve aspettare niente di particolarmente esplicito, ma più il dolce abbandono cui allude l'aggettivo più usato nel racconto: languido. Gli sguardi ardenti e le farneticazioni su amore e morte di Carmilla possono turbare Laura, ma solo solleticare l'immaginazione del lettore di oggi, abituato a ben altro. Dell'eros, questa creatura di Le Fanu esprime piuttosto la carica demoniaca e irrazionale, l'inaspettata e pericolosa bellezza che emerge per un istante dal caos, illudendo e soggiogando un cuore umano. Nemmeno a una vampira si potrebbe chiedere di più.
Matteo Ferrario



4.4.07
Recensione inviata da Silvia Corti
Victoria di Sami Michael (traduzione di Antonio Di Gesù)
Victoria è una giovane donna. Vive a Baghdad all'inizio del '900 nel cortile della sua famiglia. Come le altre donne del cortile è costretta a obbedire alle volontà e alle voglie degli uomini della famiglia, secondo le norme sociali dell'epoca e del luogo. Tra questi uomini, Rafael, giovane stravagante e desideroso di uscire dai confini del proprio tempo, si eleva rispetto agli altri e si guadagna l'amore delle ragazze del cortile, che aspettano trepidanti la sua scelta e vedono in lui la possibilità di emanciparsi e soprattutto di vivere un amore libero, non sotto la forma di un giogo, ma come una passione reciproca, un piacere e non una sottomissione. Anche Victoria si innamora di Rafael e il filo conduttore del romanzo è il suo amore testardo e ingovernabile che va oltre il desiderio fisico o spirituale e diventa simbolo di una realizzazione personale.
Ma intorno alla storia d'amore, filo conduttore del romanzo, c'è la bellissima cornice del cortile, della città e dei personaggi. Un'atmosfera densa di suggestioni, dove la realtà si mescola spesso alla superstizione, odori e sapori mediorientali condiscono la lettura di un piacere esotico e sorprendente. Donne velate sussurrano in angoli oscuri di segreti indecenti, mariti infedeli vanno a cercare avventure nei luoghi più promiscui della città, tradimenti e passioni si consumano tra maledizioni e sortilegi. Ecco, è un romanzo non europeo, dallo stile afoso e lento, ma coinvolgente e speciale. Una lettura diversa.
Silvia Corti



3.4.07
Recensione inviata da Silvia (Phoebe)
Ci sono libri che inizi a leggere così, per sfida. Giusto perché intorno a te c'è chi lo ha amato alla follia e chi non lo userebbe nemmeno come fermo per una porta che sbatte. Insomma, tutti intorno a te ne parlano e tu non hai una idea tua. Che altro si può fare se non leggerlo? Proprio io che mi vanto di capirne di libri... potevo tirarmi indietro così? Inevitabile. Con timore, forse. Con zero aspettative, a dire il vero. Sicura e certa di trovare la solita boiata finto intellettuale che spesso si cela dietro un libro di un autore italiano cosiddetto giovane, ma già osannato dalla critica e benedetto dalle vendite.

È così che ho iniziato a leggere Caos calmo di Sandro Veronesi. Ed è così che dentro ci ho trovato molto di più.
Il protagonista è Pietro, rampante manager di una pay tv, che in una domenica d'agosto salva la vita, insieme a suo fratello Carlo, a due donne che stanno per affogare. Contemporaneamente la sua compagna, Lara, muore all'improvviso nella loro casa al mare, unica testimone la figlia di 10 anni, Claudia. La sua vita cambia dal quel giorno in modo radicale, cercando attimo dopo attimo di ritardare il momento in cui l'ondata del dolore per la perdita subita lo travolgerà. Per il bene della figlia, si dice lui. Il bene della piccola, saggia e riflessiva Claudia, che come tutti i bambini del mondo, nonostante i genitori non lo sappiano, sanno vedere molto più in là e capire il mondo e le emozioni di quello che il mondo degli adulti pensa.
Per uno strano gioco, il primo giorno di scuola promette che si fermerà fuori ad aspettarla. Lì. Tutto il tempo lì. Per il bene di Claudia. Prima fuori dalla macchina, approfittando di un autunno che non vuole arrivare e di una estate che non vuol saperne di finire. Poi, in inverno, in macchina. Ad aspettare un cenno della figlia alla finestra. A osservare una varia umanità che prima non aveva nemmeno notato, preso dalla folle corsa che è la vita quotidiana: la madre che porta a fare terapia il figlio down, la ragazza col cane, il vigile, le maestre, la cognata, il vicino di casa. Un mondo sconosciuto che tenta di convivere con il dolore di Pietro. Dolore che però non arriva.
E proprio lì, Pietro riceve colleghi, superiori e amici. Fuori dalla scuola rilegge la sua relazione con Lara, ripensa a lei, cerca di entrarne in contatto telepatico attraverso la musica, riesamina i rapporti professionali sconvolti anch'essi da una fusione industriale, da licenziamenti e dimissioni, da promesse di promozione (rifiutate) e da confidenze di uomini potenti. La sua postazione fuori da scuola diventa un confessionale dove venire ad ammettere le proprie colpe e a manifestare le proprie lacrime, come se il dolore inespresso e mascherato del protagonista fosse in grado di dare comprensione a tutti.

Perché caos calmo è proprio questo: il momento di attesa in cui si aspetta l'ondata di dolore che di sicuro ci sommergerà sopraffacendo la razionalità che tanto il nostro secolo decanta. È il rimandare il momento della presa di coscienza che quella persona, sì proprio quella che amiamo così tanto, non c'è più e non tornerà. Caos calmo vuol dire vivere nel limbo, andare avanti e allo stesso modo rifiutarsi di farlo. Posporre.
Sensazione che ho chiara in mente, in cui sono maestra. Ritardare il dolore. Ignorarlo. Raccontarmi un'altra storia con un finale diverso. Ed è inutile, perché senza affrontare il dolore, esso non passerà. Non smetterà di inseguirci.
Ma il libro di Veronesi non è solo questo: è una piccola perla di sensibilità. L'autore con estrema leggerezza narrativa disegna immagini e sensazioni, racconta piccole storie e grandi emozioni che portano alla crescita e all'evoluzione del protagonista.
Non posso affermare che si tratti di un capolavoro, ma è comunque uno di quei libri che fanno riflettere sulla propria vita e creano spunti di riflessione. E questo non è certo poco, vista l’aridità che c'è in giro per il panorama letterario. Se c'è un appunto che si può fare a questo libro, è la mancanza di un ritmo che incalzi il lettore. Lo scrittore, infatti, si lascia spesso andare in lunghe divagazioni narrative che però, secondo me, sono la vera forza del libro. Ne fanno un piccolo affresco della vita di oggi, che spesso ci scivola addosso senza che l'80% delle cose che viviamo, vediamo, incontriamo ci tocchino. Anzi, senza che nemmeno le notiamo.
È, come ho detto all'inizio, un libro assai controverso. O lo si ama, o lo si odia. Ma non credo, come è stato detto in una recensione non mi ricordo da chi o dove letta, che questo sia un libro solo per chi ha un QI molto elevato, un libro non per tutti. Penso che, come tutti i libri, debba essere letto nel periodo giusto della propria vita per essere capito davvero e che bisogna essere dotati di una sensibilità particolare per innamorarsene.
La fine del libro porta con sé una morale notevole: spesso, anzi sempre, crediamo di fare le cose per il bene degli altri. E invece, senza accorgercene, le facciamo per il nostro. Non per utilitarismo, ma semplicemente per spirito di conservazione che contraddistingue gli uomini. Involontariamente, senza nessuno spirito egoistico, non per tornaconto. Solo per proteggerci.
Ma non si può. Il dolore è come una pantera che ti segue nell'ombra. Paziente aspetta, non ha fretta. E quando pensi che sia troppo tardi, che oramai sia passata, di averla infine sfangata, ti salta alla gola. E allora, tanto vale affrontare le cose a viso scoperto. Fosse facile...
Silvia (La stanza di Phoebe)



2.4.07
Contributi inviati da Simona Magnoni
Leggi Scusa ma ti chiamo amore di Federico Moccia e contemporaneamente leggi Il colore del sole di Andrea Camilleri.
Con il primo ti senti adolescente e torni indietro nel tempo, forse con la speranza che il solo ricordare come ti sei sentito con certi primi amori possa farti sentire così anche oggi con nuovi o vecchi amori, nonostante adolescente proprio non ti si possa definire. E leggi queste pagine quasi a voler rubare la freschezza dei sentimenti raccontati con la smania di saper raccontare anche i tuoi così ma soprattutto di poterli, in questo modo, vivere o rivivere. E illuderti o pensare che siamo un po' padroni del nostro destino o quanto meno di una parte di esso e che le nostre decisioni possano fare la differenza.
E quasi contemporaneamente leggi Camilleri. Il grande Camilleri, e la cupezza della vita di Caravaggio ti avvolge portandoti indietro nei secoli fino a farti toccare quasi con mano la vita di questo artista così travagliata e intrisa di morte. E percepisci l'ansia e la paura e la tristezza di un uomo maledetto e braccato dalla vita stessa. Ma soprattutto percepisci la rassegnazione con la quale quest'uomo, come molti, accetta che la vita abbia un destino e che nulla dipenda da noi.
E per un animo inquieto e un po' insoddisfatto e mai arrivato come il mio che tutto cerca e tutto vuole e tutto desidera perché vuole che la propria vita sia felice ma vuole anche essere artefice della propria felicità, che dice ancora una volta: "unico Camilleri", ma a volte forse è meglio leggere un "qualunque Moccia".
E lo so, Camilleri racconta una vita vera. Moccia ti fa solo sognare.
Simona



1.4.07
Recensione inviata da Brunello Arborio
Mara Alei, Un amore di carta
Il fascino di questo bellissimo romanzo di Mara Alei è tutto nelle figure dei due protagonisti, di cui vengono descritti in modo mirabile i sentimenti, le emozioni e le sensazioni. Stefano e Luna, due persone dalla vita modesta, priva di grandi risultati e prospettive, due "perdenti" secondo i canoni materialisti della nostra società, ma ricchi di una profonda vita interiore, si conoscono e si cominciano a inviare e-mail. Protetti dallo schermo del computer che evita il contatto diretto, si fanno confidenze sempre più intime su passioni, sogni e aspirazioni. Entrambi amanti della musica classica e della letteratura, si accorgono di avere molto in comune. Ma mentre Stefano è una persona che, nonostante le avversità della vita, continua ad avere aspirazioni e sogni, oltre a una grande passione per la letteratura che gli dà forza ed energia, Luna è una persona depressa, piena di paure e incertezze, con una visione dell'esistenza totalmente pessimistica. Stefano si innamora di Luna, della sua fragilità, del suo bisogno di protezione, ma la poca autostima, le continue paure e un senso continuo di inferiorità nei confronti del prossimo hanno inaridito la capacità di Luna di provare un qualsiasi sentimento. Quando l'amore di Stefano per Luna diventa così evidente da non poter più essere negato, Luna decide di rifiutarlo pur continuando a desiderare l'amicizia di Stefano. Inizia un periodo pieno di incomprensioni e difficoltà tra i due protagonisti, tra addii e riconciliazioni, con il costante rifiuto di Luna di vedere Stefano di persona. Stefano non si rassegna al rifiuto di Luna e comincia a tempestare la ragazza di richieste di spiegazioni: Luna risponde sempre in modo reticente e ripetitivo, ma qualche brandello di verità viene fuori, fino al finale a sorpresa, tragico e struggente: l'amore tra Stefano e Luna esiste, ma è troppo puro e ideale per poter essere vissuto in questa nostra realtà terrena; solo la morte e il passaggio a un'altra dimensione potranno dare un senso all'amore tra i due protagonisti, così grande e sublime da non conoscere alcun confine. La bravura dell'autrice sta nel riuscire a offrire uno spaccato della nostra società partendo dall'analisi tutta interiore dei due personaggi principali. Questo libro è infatti una bellissima storia sul "male di vivere" in una società egoistica e superficiale, che rende difficile comunicare agli altri i sentimenti profondi e nascosti costringendo a indossare una maschera di indifferenza e ipocrisia: diventa quindi molto difficile avere rapporti appaganti con altre persone; risulta difficile l'amicizia e impossibile il vero amore: ci si deve accontentare di conoscenze fugaci e superficiali. Gli unici valori della nostra società sono la ricerca del successo e della ricchezza: chi vive coltivando la propria interiorità viene emarginato, come dimostrano le vicende dei due protagonisti, soli e incompresi anche quando sono in mezzo a tante persone. La storia di questo romanzo è quella di due solitudini che si incontrano, di due persone non capite da amici e conoscenti che instaurano un forte rapporto esclusivo, con tutte le incomprensioni dovute alla differenza dei caratteri e alla impossibilità di vivere i sentimenti in modo ideale. In questo romanzo Mara Alei riesce ad affrontare tutte le tematiche presenti nelle sue precedenti opere con una forza e una sensibilità davvero straordinarie: la simpatia per i deboli e i perdenti, il rifiuto dell'esteriorità e del materialismo della nostra società, l'esaltazione della ricchezza interiore, l'arte come unica possibilità di riscatto e realizzazione dell'individuo condannato altrimenti a un'esistenza insignificante, l'amore ideale visto come il bene supremo ma irrealizzabile nella nostra dimensione terrena. Un bellissimo libro quindi, pieno di idee e spunti di riflessione, in cui tutti ci possiamo ritrovare perché siamo tutti un po' "Stefano" e un po' "Luna", un libro che vale sicuramente la pena di leggere.
Brunello Arborio



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